Ieri mi trovavo fuori da un ristorante, ad osservare sul muro di un palazzo di fronte, una carrellata di opere d’arte in ceramica, che abbelliscono un vicolo storico della mia città. Riflettevo su quanta bellezza possono creare gli esseri umani quando sono in contatto con la loro anima, quando la ascoltano e si lasciano guidare da lei. E mentre i miei occhi continuavano a posarsi sulla bellezza, le mie orecchie ascoltavano la telefonata alla fidanzata di un dipendente del ristorante, uscito nel vicolo per la sua pausa. La chiamava amore e intanto le urlava contro ogni sorta di insulti. Alle probabili rimostranze di lei l’immancabile frase “faccio errori, sono umano”: la frase che chiude ogni conversazione, che non lascia spazio e scampo, il martello del giudice che si leva e determina che il caso è chiuso.
Ma il caso è chiuso? O è proprio da qui che possiamo partire a farci tante, tante domande?
“Siamo umani e facciamo errori” è senza dubbio nella nostra vita la prima parte di un viaggio, ma cosa viene dopo? Che fare di questi errori? Imparare, ovvio. Sembra semplice, e in effetti lo è, ma spesso non ce lo permettiamo, andiamo a scoprire perché…
Oggi riflettiamo assieme sul “viaggio dell’errore” e cerchiamo di scoprire che strade esso può prendere, alcune di grande aiuto per la nostra evoluzione, altre no.
Fare un errore è la cosa più naturale che ci sia, accade continuamente, è il mezzo più potente che abbiamo a disposizione per apprendere, per conoscere noi stessi e gli altri, e per accogliere il cambiamento. Se è vero, infatti che facciamo errori perché siamo umani, è anche vero che in quanto umani, il cambiamento è ciò che ci rende vivi e in costante evoluzione, quindi cambiamo continuamente perché siamo umani. Ma come si intrecciano, e come dipendono uno dall’altro questi due processi?
Il viaggio dell’errore comincia quando mettiamo in atto un pensiero, una parola o un comportamento che, invece di nutrire e rendere felice la nostra anima, il nostro vero Sé, ha lo scopo di gratificare il nostro Ego, ovvero il nostro falso Sé che rappresenta ciò che siamo convinti di essere, o ciò che gli altri ci hanno convinto di essere. La nostra anima soffre, ma noi non la ascoltiamo, seguiamo il falso Sé e cadiamo in errore. Benissimo, può succedere, ci succede continuamente, ed è perfetto che ci accada, altrimenti come faremmo a imparare, piano piano, a distinguere i bisogni dell’ego (falso Sé) da quelli dell’anima (vero Sé)?
L’errore è un alleato preziosissimo e uno strumento eccezionale.
Solo a partire dagli anni Sessanta le generazioni si sono svincolate dal terrore della “penna rossa” e si sono concesse di sbagliare, senza più vergognarsi o sentirsi in colpa. Eh si.. perché fino alla generazione dei nostri nonni l’errore era vissuto come una colpa, da negare, da nascondere: una macchia indelebile sulla propria autostima, sul proprio onore e sul proprio valore. Il cavaliere senza macchia, è il cavaliere che non commette mai errori. Così sono cresciute le generazioni passate, nel terrore dell’errore e del senso di colpa e vergogna che ne seguiva. E ad un certo punto l’onda della contestazione ha soffiato, abbiamo detto BASTA e abbiamo rivendicato l’errore come possibilità e come parte della nostra natura umana. Così, lentamente, dagli anni Sessanta in poi, abbiamo imparato a concederci l’errore, e a vedere il suo valore di Maestro. E’ stata una grande rivoluzione, un passo avanti nel processo di consapevolezza collettivo. Rivendicare la possibilità di sbagliare, e di trarre un insegnamento dai propri sbagli, è stato un atto di saggezza e di amorevolezza verso noi stessi, che ci ha portato dove siamo oggi. Ma dove siamo oggi? Dall’altra parte della barricata, sbilanciati dal lato opposto rispetto a quello dei nostri nonni. Oggi rivendichiamo che errare è umano, e poi usiamo questa certezza come scusa per continuare a perseverare negli stessi errori, spesso fino a perdere tutto ciò che di più caro abbiamo.
Ciò accade per diverse ragioni, molte di queste storiche e sociali: siamo i figli della contestazione, ci siamo accomodati sui valori rivoluzionari dei nostri genitori, e anziché prenderli come spunto per una ulteriore evoluzione ci siamo impigriti e ci siamo comodamente acciambellati in una cuccia confortevole, che ci fa sentire al sicuro, ma nella quale rimaniamo intrappolati: vediamo come! E per capirlo ritorniamo al viaggio dell’errore.
C’è un uomo o una donna che non segue la voce dell’anima e fa un errore. Benissimo. Da qui si aprono numerose strade:
La strada del senso di colpa è la più battuta, e anche la più comoda
…eh si..la più comoda. Se mi crogiolo nel senso di colpa, tutta la mia energia, innanzi tutto, è concentrata su di me, che sono la principale “vittima” del mio errore poiché sto soffrendo. Posso occuparmi solo di me e della mia sofferenza, coinvolgere gli altri nel mio pessimismo e malumore giustificandomi col fatto che mi sento in colpa e sto male. Non ho energia per ascoltare l’altro e soprattutto non ho energia per osservare e comprendere che cosa ho provocato nell’altro o che cosa sto provocando col mio dolore.
Il senso di colpa mi tiene ancorato al mio errore, mi convince che io sono identificato con l’errore, e di conseguenza lo ripeterò. Nel momento in cui mi sento in colpa, sto già accettando che ripeterò l’errore, e sto determinando che anche gli altri dovranno accettarlo, e che il cerchio si ripeterà all’infinito. La strada del senso di colpa non è evolutiva, ci priva della forza e del coraggio di cambiare e di usare il libero arbitrio, ci fa accomodare nella scomoda ma familiare cuccia delle nostre parti ombra, e ci fa guardare il mondo come se tutto fosse una punizione che dobbiamo infliggerci o lasciarci infliggere dagli altri. Iniziamo a guardare gli altri con sospetto e diffidenza, aspettandoci il peggio, perché da chiunque può arrivare la meritata punizione, ci dedichiamo a ciò che ci può far stare male, perché così ci auto puniamo. Ci dedichiamo a ciò che può darci immediata gratificazione (dipendenze, pensieri e comportamenti scorretti e irrispettosi verso noi stessi e gli altri) così da avere un sollievo momentaneo e a continuare a meritare la punizione. Ci dedichiamo a tutto ciò che ci evita di sentire l’anima e cerchiamo conferme di quanto il mondo e gli altri siano cattivi e colpevoli come noi.
Ci è facile trovare sul web e attorno a noi molti esempi di crudeltà e molti errori più grandi dei nostri. Molti di noi si dedicano all’hobby della ricerca di immagini e video basati sul violare e umiliare qualcuno; immagini e video che ci provocano disgusto per poter riderci sopra o sentirci infastiditi, che sono due modi di fare la stessa cosa: cercare sentirci sollevati perché “là fuori” c’è qualcuno più cattivo di noi, nonostante i nostri “peccati”. Questo atteggiamento è il risultato ipocrita di secoli di religione mal compresa, e anche se la abbiamo rifiutata ne siamo ancora profondamente segnati.
E’ ora quindi, di smettere di accomodarci nel senso di colpa, e di capire che questa strada ci allontana dall’anima, è ora di esplorare altre strade. SENZA SENTIRCI IN COLPA PER NON AVERLO CAPITO PRIMA!
La strada della vergogna è quella che fa più paura, e che ci dona un’opportunità
Cosa accade se, anziché crogiolarci nel senso di colpa, troviamo il coraggio di sentire la nostra vergogna?
Accade un miracolo. Iniziamo ad evolvere.
Ma vediamo un attimo qual’è la differenza tra senso di colpa e vergogna. Per molti di noi questi due sentimenti sono sinonimi, o collegati: mi sento in colpa perché mi vergogno, oppure mi vergogno e mi sento in colpa.
In realtà questi due sentimenti sono molto diversi, ed è diverso ciò che accade tra noi e la nostra anima quando ne facciamo esperienza. Abbiamo detto che il senso di colpa ci allontana dall’anima e ci impedisce di ascoltarla.
La vergogna ci avvicina all’anima. Proviamo vergogna proprio perché stiamo ascoltando la nostra anima, che soffre. Anche quando ci vergogniamo di un’azione o di un pensiero rivolto all’altro, accorgendoci della sofferenza o del disagio che abbiamo causato, è la nostra anima a soffrire e questo ci fa provare vergogna.
La vergogna è un sentimento difficile, indicibile, stiamo così scomodi nello spazio della vergogna che faremmo qualunque cosa pur di uscirne. Non è uno spazio in cui possiamo accomodarci e coccolarci, come facciamo col senso di colpa. Dalla vergogna dobbiamo uscire, perché è un letto di spine, perché ci ferisce e non è possibile usarla come zona di comfort. Ma proprio in questo risiede il suo incredibile potenziale evolutivo.
Quando ci vergogniamo dei nostri pensieri, delle nostre parole o delle nostre azioni è perché l’anima ci sta dicendo “mi stai facendo male, mi stai danneggiando” e noi sentiamo di dover fare qualcosa, qualunque cosa, pur di cambiare la situazione.
A questo punto possiamo fare diverse scelte: la più comune è cercare di tornare alla zona di sicurezza mettendo a tacere l’anima. Diciamo bugie, neghiamo l’evidenza a noi stessi e all’altro, dimentichiamo e rimuoviamo l’accaduto, ci auto convinciamo che ciò che ci ha fatto vergognare non sia accaduto veramente, o non sia stato così grave. Se qualcuno ha sollecitato il nostro senso di vergogna, spiegandoci cosa abbiamo creato, lo guardiamo come bugiardo e paranoico e ci rifiutiamo di ascoltarlo, arriviamo fino a credere che si sia inventato tutto e a bandirlo dalla nostra vita rompendo relazioni e amicizie.
Serve dire che questa strada ci riporta al falso Sé, e che non è evolutiva? Serve dire che è solo un modo di evitare una stupenda e potente opportunità di crescita interiore? Eppure è quella che spesso scegliamo. Ma ce n’è un’altra possibile.
Se facciamo la scelta di ascoltare profondamente la nostra vergogna proveremo molta sofferenza. Sarà come accorgerci che un arto sta andando in cancrena, e se non vogliamo morire dobbiamo tagliarlo.
Ci sentiremo persi, non riusciremo più a guardarci allo specchio, perderemo l’appetito, ci sentiremo brutti e non riusciremo a stare con gli altri, né con noi stessi né a dormire bene..all’inizio. Ma se avremo il coraggio di passare attraverso questo momento, senza sapere quanto durerà, scopriremo che queste sensazioni sono una porta verso l’anima, e riusciremo ad aprirla.
Ammettendo a noi stessi cosa abbiamo pensato, detto, fatto. Ammettendo quante volte abbiamo ripetuto lo stesso errore. Ammettendo quante giustificazioni abbiamo cercato e trovato per non cambiare. Ammettendo che in questo modo siamo sprofondati in un pozzo di vergogna ci guarderemo e diremo: è ora di uscirne.
Il primo passo per uscirne sarà ammettere di fronte a noi stessi e all’altro che ci vergogniamo. Riuscire a dire “mi vergogno di ciò che ho fatto” è una medicina portentosa. Possiamo scegliere di dirlo solo a noi stessi, nel caso in cui la persona a cui potremmo dirlo non sia più parte della nostra vita, o perché è morta, o perché, per altre importanti ragioni, abbiamo scelto di allontanarcene. Ma in questo caso dovremo scendere in profondità dentro noi stessi ed essere sicuri che la ragione per cui la abbiamo allontanata non sia solo la nostra vergogna. Se le altre motivazioni sono coerenti, se l’altra persona non era positiva nella nostra vita, è stato un atto di amore verso noi stessi allontanarcene, altrimenti la scelta più saggia sarà rintracciarla, e finalmente dirle che ci vergogniamo di come abbiamo agito, anche dopo anni di vergogna accumulata, e poi, se ci dà una nuova opportunità, accoglierla come un dono, non pretenderla. Non possiamo pretendere che dire che ci vergogniamo ci darà un nuovo accesso all’altro, poiché lui/lei potrebbe avere deciso, nel frattempo, che noi nella sua vita non siamo positivi, e in questo caso dovremo accettarlo. E non dobbiamo usare questa occasione semplicemente per “scaricarci la coscienza” incuranti del dolore che potremmo risvegliare o provocare. In altri termini, andare dal nostro migliore amico ignaro che cinque anni fa gli abbiamo soffiato la fidanzata o il posto di lavoro e rivelarglielo, per poi dirgli che ce ne vergogniamo..non è una buona idea! Non è di questo che stiamo parlando. Stiamo parlando di persone che sanno già benissimo che abbiamo sbagliato, quali errori abbiamo fatto, persone che sanno che non li abbiamo mai voluti ammettere, e hanno sofferto o ancora soffrono per questo.
Fa paura vero? Si, tanta, ma è una strada di guarigione.
Non si tratta di “chiedere scusa” come farebbe un bambino, pronto a ripetere il comportamento un attimo dopo. Non si tratta di dire “mi dispiace”, cercando il perdono altrui. Non si tratta di cercare di perdonare noi stessi, poiché il perdono non possiamo forzarlo, accade spontaneamente, come un fiore che sboccia al momento giusto.
Si tratta di evolvere, accettando la vergogna, accettando quanto ci fa stare male, accettando quanti danni abbiamo provocato alla nostra anima e a quella dell’altro, per poi NON RIPETERE PIU’ LO STESSO ERRORE, e non dover più provare vergogna.
Faremo allora, in futuro, errori diversi, che ci daranno insegnamenti diversi, ma non ripeteremo più gli stessi, e il nostro mantra sarà “sono umano perché sono creativo coi miei errori” e non più “sono umano perché ripeto all’infinito gli stessi errori”.
Impareremo a gettarci nel nuovo, col rischio, certo, di fare nuovi errori, e ben vengano, e ben venga anche la vergogna, se la useremo come un Maestro per la nostra crescita.
Avremo compreso però che giustificare il nostro errore, o la sua ripetizione, anziché vergognarci e poi uscire dal pozzo, non è la strada che ci aiuta, ma solo un circolo chiuso, che torna sempre allo stesso punto.
Facciamo errori perché siamo umani, impariamo e non li ripetiamo se entriamo in contatto profondo con la nostra vergogna.
Facciamo errori perché siamo umani, li giustifichiamo, li ripetiamo e ci accomodiamo nel senso di colpa se non vogliamo ascoltare la nostra vergogna.
Possiamo scegliere. Tutta la nostra evoluzione non si basa sull’essere capaci di non sbagliare mai, ma sul coraggio di affrontare la vergogna che proviamo per i nostri errori, e inchinarci a lei come alla più compassionevole maestra, che ci spalancherà le porte del cammino verso il vero Sé.
Se scegliamo questa strada ci sentiremo vulnerabili, insicuri, avremo paura, e avremo bisogno di aiuto. Avremo bisogno dell’aiuto dell’altro che ci costringe a vergognarci, avremo bisogno dell’aiuto dell’altro che per un po’ non vuole avere a che fare con noi, perchè è ferito, avremo bisogno dell’aiuto dell’altro che non riesce più fidarsi di noi, avremo bisogno dell’aiuto dell’altro che ascolta la nostra vergogna e ci dà un’opportunità, avremo bisogno dell’aiuto dell’altro come amico, compagno o terapeuta, a seconda del lavoro che abbiamo da fare.
Non potremo fare questo lavoro da soli, e raccontarci che lo faremo da soli ci riporterà ad accomodarci nel senso di colpa, soprattutto se useremo l’orgoglio per non sentire la vergogna che proviamo.
Ci abbiamo mai riflettuto sul fatto che l’orgoglio è uno strumento, inventato da madre cultura, per tenerci schiavi, e per non permetterci di accedere alla crescita che solo la vergogna può innescare?
Per lavorare con la vergogna e usarla come una porta sull’anima, abbiamo bisogno di essere privi di orgoglio, umili, e abbiamo bisogno dell’altro. Ammettiamolo, vergogniamoci anche di essere stati tanto superbi da pensare che avremo potuto venirne fuori da soli, e ripartiamo da lì.
Per approfondire possiamo appoggiarci al lavoro di alcuni importanti autori come la Dott.ssa Brené Brown:
O possiamo leggere: Vincere la vergogna, guarire i traumi (oltre la paura e l’insicurezza, riconquistare l’amore verso se stessi) di Krishnananda e Amana, Urra Edizioni.
Ricordiamoci che questa strada è possibile, per quanto scomoda, per quanto lunga, è quella che ci porterà a destinazione.